Le architetture in legno e pietra sono tra le più originali dell’Indonesia e simboleggiano il fulcro della vita sociale della comunità.
In alcuni periodi dell’anno sono celebrati antichi riti di comunione con la terra e di sacrificio collettivo, di grande significato sociale e di forte impatto emotivo, ponte tra il presente ed il mondo ancestrale.
Sulla via del ritorno ci aspettano i Varani di Komodo e gli orizzonti sottomarini di incomparabile bellezza attorno alle isolette dell’arcipelago di Komodo e Rinca.
Giorno
1: Arrivo a Bali, pomeriggio di relax
Arrivo
a Bali, serata libera.
Pernottamento
in hotel a Legian.
Giorno
2: Volo interno Bali–Tambolaka (Sumba)
Di
prima mattina prendiamo un volo interno che ci porta all’aeroporto
di Tambolaka, sulla costa nord-ovest dell’isola di Sumba.
A Sumba ci attendono auto, con autisti e la guida locale, che
ci portano, dopo pranzo, a Pantai Kita, la bella spiaggia a
pochi km da Tambolaka, che sarà la base dei primi giorni. Relax in
spiaggia.
Pernottamento
in guesthouse.
Questa
isola arida e ondulata, ospita una delle società tribali più
interessanti delle Nusa Tenggara Timur, che ruota intorno al culto
dei marupu (termine generico per definire tutte le forze spirituali,
divinità, spiriti e antenati). Sumba, dal punto di vista
morfologico, appare molto diversa dalle isole vulcaniche situate più
a nord, con un paesaggio caratterizzato dalla presenza di basse
colline di pietra calcarea, risaie e campi di mais e cassava. Nelle
regioni più impervie, il cavallo è ancora utilizzato come mezzo di
trasporto: simbolo di ricchezza e di prestigio sociale, assieme al
bufalo e al maiale, un tempo questo animale faceva parte della dote
da offrire per prendere moglie. Oggi la maggior parte degli isolani è
ufficialmente protestante, ma il culto marupu resiste e gli antichi
conflitti sono ancora rievocati con cadenza annuale, con battaglie
simulate tra coorti di cavalieri armati di lance spuntate. Queste
battaglie fanno riferimento a radicate tensioni tribali che di tanto
in tanto scoppiano tra clan rivali. Il bahasa indonesia è parlato
ovunque, ma a Sumba ci sono sei lingue principali. Il turismo
nell’isola è ancora limitato.
Giorno
3: La costa tra Mandorak e Weekuri.
I villaggi e i panorami di Ratenggaro e
Wainyapu.
Dopo
colazione ci spostiamo nella regione di Kodi (1 ora, 30km),
terra di Sumbanesi che vivono ancorati al Marapu, il credo
sociale e religioso che ha radici animiste, e da pochi anni si
offrono ai visitatori stranieri. Le loro Pasola, finte
battaglie a cavallo, sono sempre intrise di autentico coraggio,
spirito combattivo e istrionismo.
Visitiamo
due luoghi panoramici sul mare, la spiaggia di Mandorak il
laghetto marino di Weekuri (dove si può fare il
bagno). Poi percorriamo la lunga regione costiera fino a Bondokodi,
passando per i villaggi di Bukubani, Tossi e Pero, che ha un
incantevole approdo di pesca. Pranzo in un ristorantino locale a
Pero. Il pomeriggio è dedicato alla visita dei bellissimi villaggi a
sud di Bondokodi, ciascuno con le case tradizionali dagli alti tetti,
tipiche della casta nobile. Entriamo nel villaggio di Ratenggaro
con le sue tombe reali in riva al mare. Gli abitanti ci seguono con
curiosità mentre camminiamo tra le case, le uma bokulu, dagli
alti tetti a minareto. Dalle tombe dei rato ammiriamo la foce del
fiume. All’entrata del villaggio allestiscono un piccolo bazar di
oggetti di artigianato e potremo acquistarne qualcuno. Riprendiamo le
auto e passiamo il fiume per visitare Wainyapu e il suo grande
campo della Pasola. Facciamo una passeggiata alla lunga spiaggia
bianca attraverso le cave di pietre tombali, fino all’insenatura
del fiume Lambatama da cui si gode una splendida vista degli
alti tetti di Ratenggaro. Ci accolgono alcuni anziani, bambini
curiosi, maiali e cavalli.
Al
tramonto rientriamo alla guesthouse.
Pernottamento
in guesthouse.
Giorno
4: Waikabubak il mercato. Praijing e Marosi.
Di
primo mattino partiamo per il sud, per Lamboya dove arriveremo a
tarda sera (3 ore ca.). Una prima sosta al mercato di Waitabula,
tra colorati ikat e bestiame in vendita. Proseguiamo lungo un’ampia
strada tra verdi colline e risaie(1 ora, 35 km) fino a Waikabubak,
la capitale di Sumba Occidentale. Visitiamo il mercato e pranziamo.
Dopo pranzo visitiamo il villaggio di Praijing, tranquillo e
poco frequentato dai tour, per avere una prima idea della struttura
sociale e abitativa dell’isola. Ci spostiamo ancora più a sud, a
Lamboya (1h30m). Dopo aver lasciato i bagagli in hotel,
facciamo un po’ di relax e bagni nella bellissima spiaggia di
Marosi, che si può raggiungere anche a piedi (30min).
Percorriamo la spiaggia, incontriamo cavalieri solitari, branchi di
grossi bufali immersi in pozze d’acqua fangosa, contadini chini
nelle risaie che arrivano quasi in riva al mare.
Pernottamento
in hotel.
Di
solito il villaggio tradizionale di Sumba è strutturato in due file
parallele di case, poste le une di fronte alle altre, con una piazza
nel mezzo. Al centro della piazza c’è una pietra sormontata da
un’altra pietra piatta, sulla quale sono poste le offerte ai marupu
protettori del villaggio. Queste strutture di pietra per gli spiriti
o katoda sono usate per le offerte ai marupu dell’agricoltura
durante la semina o il raccolto. La piazza del villaggio contiene
anche le tombe degli antenati importanti, in genere finemente
scolpite. Nei tempi passati, le teste dei nemici uccisi venivano
appese a un palo irto di spine situato nella piazza del villaggio.
Quest’albero dei teschi, chiamato andung è ancora presente in
alcuni villaggi ed è un motivo riprodotto frequentemente sugli ikat,
i tessuti tipici di Sumba. L’abitazione caratteristica è una
grande struttura rettangolare su palafitte e accoglie una famiglia
allargata. Il tetto di paglia sale dolcemente dai quattro lati e
termina con una punta. Tra i rituali che accompagnano la costruzione
di una casa, c’è quello di tributare un’offerta quando si pianta
il primo palo, per scoprire se i marupu ne approvano l’ubicazione e
uno dei metodi consiste nel sacrificare una gallina ed esaminarne il
fegato. Molte case sono ornate con corna di bufalo o mandibole di
maiale, ricordo delle offerte sacrificali fatte in passato.
Giorno
5: I villaggi e i panorami di Wanokaka
Dopo
colazione, verso le 7.30, saliamo a piedi al villaggio forse più
interessante della zona, Sodan (40’, 15 km). L'ascesa dura
poco più di mezz'ora ed è a tratti ripida ma, una volta in cima
alla collina, troveremo un mondo antico, tra le case su alte
palafitte, abitanti schivi, lo sguardo severo del rato uma che ci
accoglie al villaggio, i luoghi tabù legati a culti millenari.
Proseguiamo in auto fino ai due villaggi della regione di Wanokaka,
Waigali e Praigoli (40’, 20 km). Le tombe megalitiche
sono abbellite da interessanti figure simboliche e si può vedere
anche ciò che rimane di un andung, il palo dei teschi. Rientriamo in
hotel per pranzo. Nel pomeriggio si possono visitare i vicini
villaggi di Tokahale e Malisu (Nalisu).
Pernottamento
in hotel.
E’
usanza comune, quando si visitano i villaggi di portare dei doni con
sé, come la noce di betel, simbolo di pace. Si tratta di uno
stimolante mediamente eccitante che purtroppo ha però degli effetti
negativi poiché è una sostanza cancerogena e inoltre dona alla
bocca e ai denti uno sgradevole colore rossastro. Masticare betel
è un modo per affermare la propria appartenenza al mondo degli
adulti e i tre elementi che formano il miscuglio hanno un significato
simbolico. Il gambo verde del sirih rappresenta il pene, la
noce o pinang le ovaie femminili, la calce (kapor) lo
sperma. E’ la calce a produrre la colorazione rossastra.
Dopo
la morte, il defunto raggiunge il mondo invisibile, da cui può
influenzare il mondo dei vivi. Marapumameti è il nome collettivo che
indica tutti i morti. I vivi possono invocare il loro spirito, in
particolar modo quello dei parenti, per ricevere aiuto, anche se i
morti possono nuocere nel caso si irritino. Nel giorno fissato per la
sepoltura, si uccidono cavalli o bufali e insieme al defunto vengono
sepolti ornamenti e una borsa di sirih (noce di betel). I vivi devono
assicurare al defunto la sepoltura più sfarzosa possibile, in modo
da evitare l’irritazione dei morti e per consentire loro l’ingresso
al mondo invisibile. Il funerale vero e proprio a volte è rimandato
anche di dieci anni, per consentire ai parenti di accumulare denaro
sufficiente per i festeggiamenti e per la costruzione di una grande
tomba in pietra.
Anche
l’abbigliamento tradizionale è ancora utilizzato. Le donne più
anziane spesso vestono solo l’ikat, o lawo, e sono a seno
nudo. Anche gli uomini indossano l’ikat, chiamato hanggi,
avvolto attorno ai fianchi, spesso sopra abiti di foggia occidentale.
Alcuni di loro indossano anche una stoffa attorno alla testa, o
kapota. Quasi tutti gli uomini, portano un lungo coltello che
sfortunatamente, a volte è usato. La violenza è parte della
tradizione Sumbanese e questo è il motivo per il quale è stata
ritualizzata nei festival come il Pasola. Ogni anno, la stagione del
Pasola inizia quando gli sciamani dei villaggi lungo la costa,
riscontrano che un certo verme di mare (nyale) è arrivato. Sono
quindi organizzati dei violenti scontri tra squadre di cavalieri che
brandiscono spade e lance ed è sicuramente una delle più
stravaganti e cruente feste dell’Asia. Si svolge tra febbraio e
marzo ed ha lo scopo principale di spargere sangue umano per
omaggiare gli spiriti e assicurare un buon raccolto. Come nel
passato, gli ‘eserciti’ sono formati dagli abitanti dei vari
villaggi costieri.
Giorno
6: Waikabubak e Tambolaka, volo per Kupang.
Al
mattino ci rimettiamo in cammino verso nord e l’aeroporto. Passiamo
per Waikabubak (1h, 25km), la capitale della regione, e ci fermiamo a
visitare i villaggi di Tarung e Waitabar , proprio in cima alla bassa
collina sopra il mercato. A Tambolaka ci imbarchiamo per il volo
verso Kupang ((1h10min). Pernottamento in hotel (vicino
all’aeroporto).
Giorno
7: Volo da Kupang a Maumere (Flores): tra i villaggi Lio. Partiamo
molto presto al mattino (5:00) per salire sul primo volo (6:00) che
ci porta con un balzo a Maumere,
sull’isola di Flores.
Visitiamo il villaggio Bajo di Wuring
e il grande mercato di Alok,
dove trovare i bei tessuti Sikka.
l minibus ci porta lungo la strada interna (3-4 ore, 90 km), tra le
belle risaie di Flores, fino alle terre dei Lio,
l’etnia principale di questa parte dell’isola. Ci fermiamo a
pranzo alla bella spiaggia di Paga,
dove c’è tempo per fare un bagno. Saliti sull’altipiano e
in relazione al tempo a disposizione, ci
fermiamo a visitare alcuni villaggi, ciascuno con una antica casa
Sa’o Ria e storie
affascinanti raccontate dagli anziani. Prima Wolowaru,
poi Jupe e Wolobete,
fino ad arrivare a Moni,
dove pernottiamo. Si può
assistere ad una serata di danze tradizionali a cura della
cooperativa Ana Kalo Group. Pernottamento in hotel.
Flores
è un’isola montuosa con una morfologia vulcanica che per lungo
tempo ne ha plasmato il destino. Una catena di vulcani la attraversa,
creando un complesso sistema di valli a forma di “V” e creste che
ha reso il territorio impenetrabile fino a qualche anno fa e questo è
il motivo per il quale si sono sviluppati vari gruppi etnici, molto
diversi tra di loro. Anche se oggi la religione cattolica è
predominante, le tradizioni indigene sono ancora molto forti. Flores
deve il suo nome ai portoghesi che chiamarono il promontorio più
orientale dell’isola Cabo de Flores (Capo dei Fiori). Molto prima
dell’arrivo degli europei nel XVI secolo, gran parte della costa
era in mano ai macassaresi e ai bugis della parte
meridionale di Sulawesi. Le razzie compiute sulle coste dai bugi e
dai macassaresi per procurarsi schiavi rappresentavano un problema
diffuso a Flores e costrinsero la popolazione a rifugiarsi
all’interno. I portoghesi vi arrivarono nel 1500, attratti dal
redditizio commercio del sandalo e diffusero il cristianesimo. Nel
XVII secolo gli olandesi cacciarono i portoghesi da quasi tutta
Flores, ma dovettero far fronte, negli anni di dominio, a una serie
ininterrotta di rivolte e guerre tra le varie tribù. Gli abitanti
dell’isola sono suddivisi in sei grandi gruppi linguistici e
culturali: i manggarai (ad ovest), gli ngada (zona di Bajawa), I
nagekeo (al centro), gli ende e i lio (zona di Ende), i sikkanesi
(zona di Maumere) e i lamaholot (zona di Larantuka). I rituali
animisti svolgono ancora un ruolo importante in occasione di nascite,
matrimoni e funerali e segnano i periodi cruciali del ciclo agricolo.
Giorno
8: L’ascesa al Kelimutu e i villaggi Lio
Prima
dell’alba (4:00), partenza in minibus per il vulcano Kelimutu
per assistere al sorgere del sole. Aspettiamo lo spettacolo
mozzafiato del sole che sorge dal mare di nubi, accompagnato dal
canto di centinaia di uccelli. In lontananza il profilo del mare. La
camminata a piedi è facile, alcune centinaia di metri lungo un
sentiero per gran parte lastricato e una breve scalinata (circa 1
ora). Il Kelimutu è considerato sacro dagli abitanti locali e
ospita tre laghi di diversi colori. In base alla leggenda, questi
specchi d’acqua accolgono le anime dei morti: quelle dei giovani si
recano nel tepore del Tiwu Nuwa Muri Koo Fai, quelle degli
anziani nelle fredde acque del Tiwi Ata Mbupu e quelle delle
persone malvagie nel Tiwi Ata Polo (lago incantato) che
dividono lo stesso cratere, separati da una stretta parete. I colori
delle acque variano periodicamente. Delle fumarole sommerse sono
probabilmente la causa di queste variazioni, infatti, i gas che
queste immettono nell’acqua, ne variano la composizione minerale.
Dopo il cratere, scendiamo a valle e al resort per una tardiva
colazione. Ripartiamo per Koanara, dopo si trovano due Sa’o
Ria ben conservate. Proseguiamo verso Ende (2 ore, 50 km), e saliamo
ad uno dei più dei villaggi Lio, Saga. Chiediamo il permesso
di visitare la Sa’o Ria e la Sa’o Kenda (riservata ai maschi) e
ci facciamo raccontare le antiche leggende legate ai clan del
villaggio. Pranzo in ristorantino a Ende.
Dopo
pranzo check-in in hotel e proseguiamo la costa fino al vicino
villaggio di Wolotopo, annidato sulla costa come un paese
delle cinqueterre e popolato da abili tessitrici di ikat. Wolotopo ha
una grande Sa’o Ria, abitata da sei famiglie e abbellita da
splendidi intagli in legno. Rientriamo passando per il vicino
villaggio di Ndona, dove una cooperativa di donne sta facendo
rinascere l’antica arte della tessitura ikat, utilizzando colori
naturali e antichi motivi ornamentali. Pernottamento in hotel.
Giorno
9: Visita ai villaggi attorno a Ende
e, via terra, a Bajawa; sosta a Wogolama.
Riprendiamo
il minibus di prima mattina e ci spostiamo verso ovest per un
trasferimento di 6 ore e 125 km, oltre le colline fino all’altopiano
di Bajawa, nelle terre della etnia Ngada. Lungo la strada
facciamo una sosta alla suggestiva spiaggia di ciottoli blu di
Penggajawa a Nanga Penda, poi visitiamo il piccolo villaggio
Boawae Pu’u, di etnia Nagekeo. Qui ci facciamo aprire la
Sa'o Waja, abbellita da enormi palchi di bufalo d’acqua,
dove sono custoditi alcuni simboli del culto ancestrale. Li vicino si
trova un antichissimo peo, o totem. Sopra di noi sta vigile l’alto
cono del vulcano Ebolobo. Pranzo in ristorantino a Boawae.
Saliamo sull’altipiano e, al tramonto, arriviamo a Wogolama,
la Stonehenge di Flores, un sito megalitico immerso in un’atmosfera
di meravigliosa pace e intimità, avvolto da una foresta di bambù.
Dopo il tramonto arriviamo a Bajawa.
Pernottamento
in hotel.
I
Nagekeo, una delle etnie meno conosciute
dell’Indonesia, hanno lingua, usi e costumi molto simili agli
Ngada. Il totem principale, chiamato peo, è
molto simile al palo di uno ngadhu: intagliato con motivi
geometrici e figure di animali, il palo con due rami superiori come
due braccia protese verso il cielo, ricorda al popolo l’immanente
presenza del loro unico dio. All’interno della “Casa Vecchia”
si trovano due oggetti legati al combattimento rituale, etu, sorta di
pugilato con l’ausilio di un corto bastone che sta nel pugno.
Appesa al muro posteriore c’è un largo pettorale formato da
conchiglie di cipree, indossato dal mosalaki durante le cerimonie.
Sotto una tettoia, o heda, poco distante c’è una misteriosa statua
lignea equestre,
chiamata
Ja Heda, che per i residenti di Boawae simboleggia il potere.
Qui sono conservati altri oggetti sacri. Il cavaliere, secondo un
leggenda, è un orang pendek, per alcuni un membro della popolazione
pigmea di Homo floresiensis.
Giorno
10: I villaggi Ngada: Bena, Tololela e
Gurusina; bagno termale.
In
minibus visitiamo il villaggio tradizionale di Bena (20 km,
45’), annidato tra le strette vallate alle pendici del vulcano
Inerie, con le case dalle ampie verande tripartite, le
facciate con le intricate e fantasiose decorazioni a ghirigoro che
richiamano direttamente i rituali animisti della società Ngada. Da
Bena saliamo sulle pendici del vulcano per un breve trekking (2 ore,
facile) al piccolo villaggio di Tololela, dove gli
nggadhu sono ancora intrisi del sangue degli ultimi sacrifici. Dopo
aver gustato l'ottimo caffè di montagna e comprato un mazzetto di
baccelli di vaniglia, scendiamo a piedi fino al villaggio di
Gurusina, le cui case sono superbamente intagliate con i
motivi ornamentali legati al culto degli antenati. Pomeriggio a
ristorarsi tra le cascatelle del torrente termale Malanage.
Rientro a Bajawa (1 ora e mezza, 30 km) e serata libera.
Pernottamento in hotel.
Le
comunità Ngada sono caratterizzate da una forma peculiare di
architettura tradizionale che è sopravvissuta, nonostante le forze
globalizzanti del ventunesimo secolo. Il numero di case (sa'o) e i
simulacri dedicati agli antenati maschili e femminili (ngadhu e
Bhaga) in un dato villaggio è determinato dal numero di clan o
famiglie (woe) che lì vive, e deve rimanere costante
nel tempo. Gli ngadhu sono strutture verticali a forma di ombrello,
coperte di paglia. I bhaga sono piccole strutture a forma di casa.
L'architettura riflette le credenze tradizionali, con elementi,
decorazioni e sculture di bufali, galline, cavalli, esseri umani,
armi e altref orme geometriche, ognuna con uno scopo specifico di
proteggere gli abitanti e garantire un sostenibile armonia con
l'ambiente, gli spiriti ancestrali e le forze naturali. Santuari e
tombe ancestrali sono parte integrante della vita del villaggio e
spesso tra essi si vedono i bambini giocare.
Gli
abitanti della casa Ngada sono protetti, fisicamente e
spiritualmente, dalla pioggia e dal vento, dal tetto piramidale
multistrato ricoperto di alang alang (paglia) e ulteriormente
protetto da influenze malevole da una figura maschile scolpita sul
posta sul colmo e armata di lancia.
L'altezza
del gradino all'ingresso della casa indica lo stato della famiglia.
Il paliwa’i, o gradino più basso, evita problemi di intrusione:
una persona malvagia che tenti di entrare sarà fatta inciampare
dalla sua stessa karmapala. La tranquillità degli abitanti è
ulteriormente garantita dall'immagine di un Sawa,una creatura
fantastica scolpita e dipinta sulla facciata d'ingresso. Questa
chimera ha le zampe di un pollo, la coda e il corpo di un cavallo, il
collo di un serpente, la testa di una tartaruga e la bocca di un
elefante con tre zanne. Nella mitologia locale, questa creatura dorme
ai piedi della dea indù Durga e si manifesta solo alla nascita e
alla morte.
Un
cranio di bufalo montato sulla casa facciata ricorda un antenato
defunto. Un bufalo è sacrificato per assicurare un passaggio sicuro
verso il regno dei morti e il cranio alla porta è un richiamo alla
inevitabilità della morte per tutti gli esseri viventi.
Gli
Ngada hanno dimostrato un forte desiderio di proteggere e preservare
il loro patrimonio architettonico. Questi piccoli borghi rurali sono
isolati e collegati solo dalla stretta e tortuosa strada che porta a
Bajawa, il centro amministrativo del distretto Ngada. Le gole montane
e le foreste pluviali che separano Flores centrale dalla costa hanno
in qualche modo protetto questi insediamenti tradizionali, ma anche
limitato le opportunità per le generazioni più giovani, che sono
sempre alla ricerca di fare carriera altrove. Questi villaggi Ngada
sono quindi emblematici delle grandi sfide della conservazione del
patrimonio tradizionale in un mondo globalizzato,
come il trasferimento di conoscenze tra generazioni nel momento in
cui le competenze e le risorse tradizionali diventano più scarse.
Giorno
11: Trasferimento in auto fino a Ruteng
Giornata
di trasferimento lungo la Trans-Flores
fino alla cittadina di Ruteng, etnia Manggarai. Le lunghe ore
di minibus (6 ore, 130 km) saranno intervallate da alcune soste per
ammirare i panorami idilliaci di questa isola incantevole. Scendiamo
prima in riva al mare ad Aimere, dove scopriremo come si
distilla la linfa della palma lontar. Poi tra risaie, verdi colline,
boschi di bambù e colorati mercati di villaggio. Ci fermiamo al
laghetto Ranamese. Pranzo in ristorantino a Ruteng.
Dopo pranzo visita del vicino antico insediamento Manggarai, Ruteng
Pu’u e alla grotta di Loh Liang, dove sono stati rinvenuti i
resti dell’Homo floresiensis. Pernottamento in guesthouse.
Giorno
12: In minibus da Ruteng a Denge e a piedi a Wae Rebo
Al
mattino partenza in minibus per Denge (4 ore) da dove inizia
il trekking di 3-4 ore (facile) per raggiungere il bellissimo
villaggio di Wae Rebo, isolato tra i monti di Flores,
raggiungibile solo a piedi. Al villaggio ci verrà assegnata una
capanna, costruita appositamente per i visitatori che raggiungono il
villaggio. Si dorme in giacigli imbottiti di foglie. L’esperienza
di vita in un villaggio indonesiano dove si vive ancora con i ritmi e
le usanze tradizionali, vale la pena di qualche sacrificio.
Il
villaggio di Wae Rebo sorge isolato in un bello
scenario di montagna. Si tratta di un antico villaggio delle etnia
Manggarai, formato dalle Mbaru Niang, case tonde
dal tetto conico e dall’architettura unica. La Casa delle
Cerimonie, di grandezza differente rispetto alle altre, ospita
tamburi, gongs e cimeli. È l’abitazione di 8
famiglie, discendenti da un antenato comune, vi si svolgono riti e
cerimonie. La struttura simbolizza l’unità del clan. I tamburi
sacri sono considerati il mezzo per comunicare con gli antenati. Per
poche ore osserviamo lo stile di vita tradizionale degli
abitanti, dediti al lavoro nei campi, alla raccolta del caffè, di
cui sono ottimi produttori, alla tessitura al telaio
degli ikat tradizionali. La camminata per
raggiungere il villaggio si dipana lungo uno
stretto sentiero tra la folta vegetazione della foresta
di montagna, e il canto di migliaia di uccelli tropicali.
Giorno
12: Discesa da Wae Rebo e in minibus fino a Labuan
Bajo
Al
mattino si rientra a piedi a Denge e in minibus si prosegue
lungo la trans-Flores fino a Labuanbajo, porto sulla costa
occidentale (6 ore, 130 km). Lungo il cammino soste per fotografare
paesaggi, risaie, villaggi e la gente del posto al lavoro nei campi.
Sulle colline di Cancar, per ammirare le particolari geometrie
delle risaie lingko. A sera arriviamo al porto di Labuan
Bajo. Serata libera con possibilità di cena di pesce sul
lungomare. Pernottamento in hotel.
Giorno
13-15: In barca tra le isolette dell’arcipelago di
Komodo
Di
prima mattina saliamo a bordo della barca che ci accompagna in
giroper le isole, uno dei luoghi più affascinanti dell’Indonesia.
In questa tre giorni di mare faremo lunghi bagni, snorkeling nelle
acque cristalline e ricche di vita lussureggiante. Non può mancare
un’escursione lungo i sentieri aridi di Rinca, alla ricerca
del varano gigante, scortati dai ranger del Parco. Rinca ospita una
nutrita colonia di varani di Komodo, circa 1500 esemplari, oltre a
cervi, bufali d’acqua, cavalli selvatici,scimmie, uccelli megapodi,
rapaci e molti rettili.
Passeremo
dai coralli di Wainilu alla spiaggia rosa di Pantai Merah e
alle mangrovie di Tatawa besar. Cercheremo le mante giganti a
Karang Makassar e le tartarughe a Batu Bolong.
Il
Parco Nazionale di Komodo, dal 1977 “Riserva della biosfera” e
dal 1991 “Patrimonio dell’Umanità”, è un santuario marino
unico, creato dalle forti correnti che trasportano acque ricche di
nutrienti in grado di supportare un incredibile ventaglio di vita
marina. Il parco è composto da Komodo e Rinca, le due isole
principali e molte altre minori, ottanta in totale, ed è situato tra
le grandi isole di Sumbawa e Flores, proprio al centro di un
passaggio obbligato per le correnti e le maree che uniscono gli
oceani Pacifico e Indiano. Foreste di mangrovie, fondali erbosi e
magnifici banchi corallini sono i principali habitat. Komodo offre
immersioni di livello mondiale con una stupefacente varietà di siti,
pinnacoli, pareti, grotte, giardini di corallo e tranquille baie. Nel
Parco di Komodo sono state registrate oltre mille specie di coralli,
settanta di spugne,con un numero particolarmente alto di tubipora
musica (corallo a canna d’organo), artefice delle bellissime
spiagge di sabbia rosa distribuite in tutto il parco. Tartarughe e
mammiferi marini frequentano le sue acque e ci sono saltuari
avvistamenti di balene. Le isole del parco abbondano di animali
selvatici, come bufali, cinghiali, lucertole volanti, uccelli
tropicali oltre, naturalmente, ai famosi varani.
Tre
pranzi, due cene e pernottamento in barca (cabine spartane con
cuccetta doppia, AC e bagno esterno). Il pomeriggio del 15° giorno
faremo l’ultimo bagno tra i magnifici coralli di Sebayur.
Dopo il tramonto sbarchiamo al porto di LabuanBajo.
Pernottamento
in hotel.
Giorno
16: Volo interno Flores-Bali .
Di
primissimo mattino ci rechiamo all’aeroporto e, con un volo interno
di poco più di un’ora, rientriamo a Bali.