Papua, le etnie Korowai ed Asmat
Avventura lungo i fiumi Brazza, Siret e Wildeman Trekking nel Korowai Corridor e in barca ai villaggi Asmat



Usando le vie naturali dei fiumi, attraversiamo le pianure appena sotto la catena montuosa centrale, che sono la parte più tradizionale di Papua. Diverse tribù, come i Korowai e Kombai, vivono uno stile di vita semi nomade in piccoli gruppi familiari e costruiscono le case sugli alberi. Dopo alcuni giorni con i Korowai, scendiamo a valle fino al mar di Arafura. Da qui risaliamo le vie d’acqua fino alla regione degli Asmat. Questa zona paludosa. che si estende nell'entroterra della costa meridionale di Papua, è famosa per il suo passato bellicoso e oggi per la sua arte primitiva di assoluto valore.

Il viaggio – Durante i trekking nella foresta siamo accompagnati da guide e portatori, che preparano i pasti e le tende per il campeggio. E’ consigliata la zanzariera e il sacco lenzuolo. Durante le visite nei villaggi non vi sono servizi igienici. Sono compresi tutti i pasti (semplici e a base di riso e verdure) oltre ad acqua in bottiglia, tè e caffè.

Giorno 1: Volo interno Jakarta – Jayapura (Papua)
Il volo per Jayapura parte in serata e arriva molto presto il mattino seguente. Cena in aeroporto.

Giorno 2: volo Jayapura - Dekai
Dopo colazione volo interno per Dekai (50min), pranzo in ristorantino locale e pomeriggio libero. Pernottamento nella locale guesthouse.

Giorno 3: sul fiume Brazza fino a Patipi Dibawa
Al mattino visita del mercato locale per gli acquisti necessari alla spedizione. Dopo il pranzo, trasferimento in auto al porto fluviale sul fiume Brazza (1 ora). Imbarco sulla longboat e navigazione scendendo la corrente per circa 2 ore fino a raggiungere il villaggio di Patipi Dibawa. Qui si prepara il primo campeggio vicino al fiume. Il fiume e la foresta che ci circonda ci preparano a ciò’ che ci attenderà’ i prossimi giorni: un’immersione totale nella natura. Cena e pernottamento in tenda.



Giorno 4: Discesa del Brazza e risalita del Siret. I Korowai di Mabul.
Al mattino si fa colazione presto, quindi si continua la discesa del fiume con la longboat, attraverso uno splendido paesaggio di foresta vergine. Durante il percorso si potranno avvistare buceri e altri uccelli oltre alle volpi volanti. Si raggiunge la bocca del fiume Siret dove si sosta per il pranzo, quindi si risale il Siret fino al villaggio di Mabul. Nella risalita il fiume cambia faccia, la corrente diventa più’ forte e appaiono banchi di sabbia, grandi alberi caduti bloccano in parte il passaggio e si incrociano sempre meno barche locali. Il viaggio in barca dura circa 8 ore.
Mabul e’ un piccolo centro, abitato dalle popolazioni Korowai, incentivate dal governo a lasciare il loro stile di vita di vita tradizionale di cacciatori-raccoglitori. Mabul sarà’ il punto di partenza per il trekking nel cosiddetto Korowai Corridor. Prima dell’imbrunire si piantano le tende, possibilmente in qualche capanna abbandonata e si ingaggiano i portatori per il giorno successivo. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.
I Korowai ( ne sono rimasti ca. 3000) sono cacciatori-raccoglitori e orticoltori che praticano un’agricoltura itinerante. Hanno eccellenti capacità di caccia e pesca. I Korowai hanno alcune attività specifiche per genere, come la preparazione del sago e lo svolgimento di cerimonie religiose in cui sono coinvolti solo gli adulti maschi. Possiedono tradizioni culturali e religiose profondamente radicate e legate alla terra e agli animali della giungla. Il loro credere ad un mondo di demoni, possessione e morte è legato alla tradizione del cannibalismo, in cui i corpi degli accusati di essere streghe o stregoni vengono uccisi e mangiati dalle famiglie che hanno sofferto della magia nera. I Korowai credono esista una stretta relazione tra le malattie e le infezioni contratte nella giungla, che uccidono la maggior parte dei Korowai entro la mezza età, e le azioni malvagie di questi stregoni possedute dai demoni, chiamati Khakhua. Gli abitanti dei villaggi in punto di morte sussurrano il nome del loro killer "spirituale" alla loro famiglia, che è quindi obbligata a uccidere il khakhua, anche se quello nominato è un membro della famiglia o un amico.


Giorno 5: inizio del trekking nella giungla. Manopteropo
Dopo al colazione si parte con guide e portatori per il trekking di 5 ore fino a Manopteropo, un villaggio con diverse case costruite sugli alberi. I Korowai, nei loro abiti tradizionali, ci daranno il benvenuto. Campeggio vicino alle tree house. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.
Questa architettura elevata protegge le famiglie dalle zanzare, dai vicini fastidiosi e dagli spiriti maligni. Le case sugli alberi sono costruite in radure con grandi alberi di banyan o wanbom, selezionati come palo principale. Pali più piccoli vengono quindi aggiunti agli angoli della casa come ulteriore supporto. La maggior parte sono sono alte tra 8-12 m e raggiungibili tramite un singolo tronco dentellato che funge da scala. Il pavimento viene costruito per primo, cui vengono aggiunti i muri e un tetto fatto di rami di palma di Sago, legati insieme con rafia. La pavimentazione deve essere abbastanza forte da sostenere fino a una dozzina di persone.


Giorno 6: giornata intera con i Korowai
Oggi seguiamo i Korowai alla ricerca del sago, l’alimento principale di queste popolazioni nomadi. Gli uomini estraggono, con le loro asce, il sago dal tronco di grandi palme, che le donne poi lavoreranno in vasche costruite solo con foglie, rami e rattan. Grande giornata per i fotografi con scatti indimenticabili. Nel pomeriggio si rientra al campo, dove il cuoco si ingegna usando gli ingredienti disponibili: papaya, banane, larve del sago e verdure. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.


Giorno 7: Discesa del Siret fino a Mabul
Rientro a Mabul (5 ore). Dopo pranzo visita del villaggio e degli artigiani che producono coltelli e sculture. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.

Giorno 8: discesa del Siret e risalita del Wildeman. I Citak di Wowi
Al mattino si ridiscende il fiume Siret, si supera (dopo 2 ore) la confluenza del fiume Brazza e si prosegue verso valle fino al villaggio di Binam/Suator, dove si fa rifornimento di carburante e si pranza. Nel pomeriggio si raggiunge Wowi, un villaggio della etnia Citak, situato sulla bocca del piccolo fiume Wildeman, tributario del poderoso Pulau, dove si prepara il campo per la notte. Prima di sera si fa un giro per il villaggio. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.
Il bacino del Brazza è noto per gli insediamenti della tribù Asmat, in particolare la tribù Brazza, una delle sotto-tribù Asmat. Gli Asmat vivono nel Papua meridionale, su una dolce pianura alluvionale che si estende dalle montagne Maoke a nord, fino al mare di Arafura, a sud-ovest. Durante l'alta marea, il mare può inondare fino a 2 km entroterra lungo la costa. Più all'interno il terreno è più alto e coperto da una fitta giungla. Esiste una vasta rete di fiumi ampi e profondi (Aswets, Bets, Pomats, Undir, Sirets e Brazza) che attraversano il territorio degli Asmat e confluiscono tutti nel Mare di Arafuru. Poiché non ci sono strade nella regione, la gente usa stabilire lungo i fiumi i propri insediamenti e, viaggiando in canoa, li usa come uniche vie di comunicazione e trasporto. Periodicamente inondata dalle piene, questa area è tipicamente paludosa e quindi inidonea alle coltivazioni agricole, il che sta alla base dell'isolamento del popolo Asmat. Tuttavia, caccia (cinghiali, cassowary, cuscus, uccelli e pesci e gamberi di fiume) e raccolta del sago da alberi che crescono ovunque selvatici e abbondanti, consentono un’alimentazione di sussistenza.
Gli Asmat si distinguono in diversi gruppi sub-etnici, tra cui: Unisirau, Bismam, Simai, Emari-Ducur, Betch-Mbup, Kaimo, Safan, Brazza e Joerat. I confini degli Asmat con altre tribù dell’interno, come Kombai, Korowai, Citak Mitak e altri, sono delimitati dal fiume Brazza e dalle pendici della catena montuosa centrale.

Giorno 9: Tra gli Asmat: Kaimo
Intera giornata di navigazione, per raggiungere il villaggio di Kaimo, primo delle etnie Asmat. Si piantano le tende in una tipica casa degli uomini (jeu): alla luce del focolare centrale le figure degli antenati scolpite nei totem assumono forme spettrali. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.
In origine gli insediamenti erano organizzati intorno allo yew (unità di parentela sociale centrata attorno alle case degli uomini) e spesso costruite sulle rive di un'ansa del fiume o all'imboccatura di un affluente, dove si fondeva con fiumi più grandi. In precedenza, intere famiglie tribali vivevano insieme in case comuni lunghe fino a 30 m, chiamate yeus, in uso ancora oggi, ma solo agli uomini e per rituali con uomini non sposati. Nelle regioni più all'interno, gli Asmat vivono ancora in longhouse. Quelle utilizzate oggi e che misurano 10-20 m ospitano fino a 16 unità familiari, ognuna con il proprio focolare. Gli Asmat tradizionalmente trascorrono gran parte della loro giornata a raccogliere cibo tanto che rimane loro poco tempo per costruire case.



Giorno 10: Tra gli Asmat: Amboreb e Warse
Si prosegue in barca per Amboreb, un grande villaggio Asmat, con tre case degli uomini, e famoso per le sculture di grande qualità. Gli scultori porteranno tutta la loro produzione alla casa degli uomini, aprendo un provvisorio bazar. Sara’ possibile trovare pezzi unici, che non si incontrano nei negozi delle città. Dopo il pranzo si prosegue per Warse (4 ore). All’arrivo si piantano le tende in una delle 3 grandi case degli uomini. Ci sarà’ il tempo per un tour del villaggio. Pranzo al sacco, cena e pernottamento in tenda.
Secondo il mito sull'origine degli Asmat, Fumeripits fu il primo essere sulla terra, e creò anche la prima casa cerimoniale maschile, o jeu (una sorta di club per soli uomini dove si organizzano cerimonie, raccontando storie, pianificando spedizioni di caccia e pesca, e scolpendo le incredibili opere d'arte per le quali sono conosciute in tutto il mondo). Fumeripits avrebbe trascorso le sue giornate ballando lungo la spiaggia, ma dopo un po si stancò di stare da solo. Decise di tagliare degli alberi e di scolpirne i tronchi in figure umane per collocarli nel jeu. Tuttavia, poiché le sculture erano inanimate, Fumeripits era ancora infelice. Decise quindi di costruire un tamburo da un altro tronco, del quale scavò il centro e rivestì le estremità con un pezzo di pelle di lucertola. Quando iniziò a suonare il tamburo, le statue presero miracolosamente vita, i loro gomiti si staccarono dalle ginocchia e iniziarono a ballare.



Giorno 11: Tra gli Asmat: Agats
Al mattino si naviga in uno stretto canale tra le mangrovie, fino a raggiungere, verso le 10 la cittadina di Agats, capitale delle popolazioni Asmat. Pernottamento al Anggrek Hotel, costruito come tutte le altre case, sulle palafitte. Nel pomeriggio si visita il villaggio, dove non ci sono auto, e il museo che conserva splendidi esempi delle sculture in legno per cui gli Asmat sono famosi. Pernottamento in hotel.
Passerelle rialzate formano una rete di camminamenti sopra il terreno fangoso. Le passerelle collegano i punti di riferimento del villaggio: chiese, moschee, scuole, ufficio postale, stazione di polizia e diversi uffici governativi e alcuni negozi che vendono beni di prima necessità. Con l'alta marea, piccole canoe e piroghe a motore si intrecciano attraverso una fitta rete di canali.




Giorno 12: volo Agats – Timika
al mattino trasferimento in barca al piccolo aeroporto di Ewer, per il volo di 1 ora fino a Timika. Giornata di relax. Pernottamento in hotel.


Giorno 13: volo interno e intercontinentale
al mattino trasferimento in aeroporto per la successiva destinazione


Kalimantan
I Dayak, i fiumi del Borneo Indonesiano, le foreste tribali di Wehea e Tana Olen


Giorno 01: arrivo a Jakarta e coincidenza con il Kalimantan (Borneo Indonesiano)
In coincidenza col volo intercontinentale si prende un volo interno fino alla città di Balikpapan (3 ore), capitale del Kalimantan Orientale. Incontro con la guida e trasferimento in minibus fino a Simarinda (120km, 3 ore), da dove parte il nostro itinerario all’interno. Serata libera. Cena in ristorantino locale e pernottamento all’hotel

Giorno 02: via terra a Samarinda, Long Noran; via fiume sul Kedang Kepala fino a Long Segah
Colazione in hotel. Trasferimento via terra attraverso piccoli villaggi e piantagioni (5 ore), fino al villaggio Dayak Kenyah di Long Noran. Visita della longhouse e primi contatti con l’etnia Dayak, dai corpi tatuati e i lobi auricolari allungati. Si prosegue il viaggio in canoa motorizzata lungo il fiume Kedang Kepala fino Long Segah (1 ora), un altro insediamento di Dayak Kayan, migrati dalle foreste. Qui si apprezza la vita armoniosa del villaggio, il rapporto con la foresta e la coltivazione del riso a secco. Pranzo per strada, cena e pernottamento in una semplice Guesthouse.

Giorno 03: via fiume fino a Muara Wahau; escursione alla foresta tribale di Wehea
Colazione in guesthouse. Trasferimento in canoa fino al porticciolo di Muara Wahau e breve visita del villaggio. Inizia l’escursione di tre giorni nell’area forestale tribale di Wehea. Un’area di 38.000 ettari di foresta pluviale vergine gestita e protetta dalle tribù Dayak di Wehea e Bahau. 60 specie di alberi e più di 100 specie di animali selvatici, tra cui orangutan, cervi e numerosa avifauna. Pranzo per strada, cena e pernottamento nel Jungle Lodge del WWF.
Wehea è il nome di una tribù Dayak, la prima tribù a popolare il Borneo circa 3000 anni fa. La sua foresta pluviale, che copre una superficie di 38.000 ettari, si trova nella parte orientale del distretto di Kutai, nella provincia di Kalimantan orientale. La foresta di Wehea è stato protetta dalla tribù Dayak Wehea sin dal 2000 per azione del leader tribale (Kepala Adat) Mr. Ledjie Taq. Dal 2004 Wehea è stata dichiarata "foresta protetta", nel 2008 ha ricevuto il premio Schooner dal Canada e nel 2009 il premio Kalpataru in Indonesia per il loro impegno nella protezione della foresta pluviale. La Foresta di Wehea è una fitta giungla vergine circondata da una foresta primaria, con una altitudine che va dai 250 metri fino ai 1700 metri sul livello del mare, e ospita diversi tipi forestali quali la foresta pluviale di pianura, la foresta di ditterocarpi e la foresta montana, con più di 60 specie di alberi. La foresta ospita specie in pericolo d’estinzione come orangutan del Borneo (Pongo pygmaeus), il leopardo nebuloso (Neofelis diardi) , l'orso malese (Helarctos malayanus) e il presbite di Hose (Presbytis hosei), un raro primate. La Riserva di Wehea è il più giovane parco di East Kalimantan, tra Muara Wahau e Berau Tanjung Redep. Con l’aiuto del WWF, i Dayak hanno costruito un alloggio eco-turistico, il Jungle Lodge, e si ripromettono di far conoscere ai visitatori le ricchezze della propria cultura e dell’ambiente in cui vivono. Nei villaggi vicini di Nehas Liah Bing e Miau Baru si possono visitare le Longhouse Dayak, forme d’arte tribale e incontrare indigeni ancora vestiti con abiti tradizionali, con tatuaggi e lobi auricolari allungati.

Giorno 04-05: escursioni nella foresta di Wehea
Due giorni interi dedicati all’esplorazione di questa magnifica foresta. Incontro con i Dayak e testimonianza del loro rapporto tradizionale con la giungla. Possibilità di escursione notturna. Pranzo al sacco, cena e pernottamento nel Jungle Lodge del WWF.

Giorno 06: via terra da Wehea a Miau Baru e poi Berau
Partenza di primo mattino per il lungo trasferimento (7 ore) via terra fino a Berau, lungo una pista accidentata che attraversa una regione di grande bellezza. Pranzo per strada, cena in ristorantino locale e pernottamento in hotel.

Giorno 07: volo Berau-Tarakan; via barca veloce fino a Malinau e poi in canoa fino a Setulang
Dopo colazione trasferimento in aeroporto per il breve volo interno fino a Tarakan, capitale della provincia di Kalimantan Settentrionale. All’arrivo in taxi fino al porto dove si sale a bordo della barca veloce che conduce a Malinau (3 ore), per uno scenico viaggio sul fiume Sesayap. Il delta del fiume Sesayap è habitat del delfino d’acqua dolce o orcella asiatica (Orcaella brevirostris) e delle scimmie nasica (Nasalis larvatus). Arrivati a Malinau, se il livello del fiume lo consente, si prosegue verso monte su canoa motorizzata fino al villaggio di Setulang (in caso contrario, si prosegue via terra). Breve visita del villaggio. Pranzo per strada, cena in ristorantino locale e pernottamento in homestay o Eco Jungle Camp.

Giorno 08-09: escursioni nella foresta di Tana Olen
La tribù Dayak Kenyah “Omak Lung” ci ospita nelle loro attività tradizionali e ci accompagna nel folto della foresta tribale di Tana Olen (“il luogo proibito”). Scimmie, buceri, e martin pescatori sono tra gli abitanti selvatici di questa splendida enclave di foresta pluviale. Dalla cima della collina di Mangkok si gode una vista incomparabile sull’oceano di piante. Pranzo al sacco, cena e pernottamento nel Eco Jungle Camp.
La foresta vergine pluviale di Tana Olen si estende su un’area di oltre 5000 ettari, e ha un’età stimata in circa 150 milioni di anni. Fa parte del più vasto Parco Nazionale Kayan Mentarang e contiene specie vegetali uniche tanto che molti botanici che hanno visitato quest'area di Kalimantan sono convinti che ci siano ancora moltissime specie di erbe e piante di grande interesse per la salute che devono ancora essere identificate e scoperte. Una delle sotto-tribù dei Dayak Kenyah, gli Omak Lung vivono per lo più a Setulang, con alcuni piccoli gruppi sparsi in tutta la foresta, lungo i fiumi Kayan e Bahau. Spinta da un antico codice di usanze che regola l’accesso alla foresta e alle sue risorse, la tribù Omak Lung utilizza le conoscenze indigene secolari per gestire il proprio habitat in modo sostenibile. Gli Omak Lung possono così contare su un reddito agricolo, sulla coltivazione di riso biologico e su prodotti della foresta come cacciagione, fibre e legno. Per il benessere delle generazioni future, la gente Dayak ha tanto da insegnarci: l'amore, il rispetto, l'equilibrio e come vivere in armonia con la natura. Essi possiedono una purezza di spirito e sono infatti i veri custodi della foresta

Giorno 10: rientro via fiume a Tarakan via Malinau
Scendiamo a valle lungo il fiume su canoe a motore, fino a Malinau. Saliamo sulla barca veloce che ci riporta a Tarakan. Pranzo per strada, cena in ristorantino locale e pernottamento in hotel.

Giorno 11: volo interno Tarakan – Jakarta (3-4 ore via Balikpapan)
Trasferimento in aeroporto per il volo interno fino a Jakarta, via Balikpapan.








Tutto jungla Sumatrana 2
i parchi di Tesso Nilo e Bukit Tigapuluh

un’immersione nelle ultime aree di foresta vergine di Sumatra centrale. I parchi Nazionali Tesso Nilo e Bukit 30.
le tribù protomalesi dei Talang Mamak



La Piccola Sonda
Timor, Lembata e Alor

Un viaggio culturale tra i villaggi Biboki degli altopiani di Timor Ovest, alla ricerca dei tamburi di bronzo degli Abui di Alor e tra i balenieri di Lamalera, per finire lungo le barriere coralline di Pantar e Ternate.


Giorno 1: Arrivo a Bali, serata di relax
In taxi fino all’hotel. Serata libera. Pernottamento in hotel.


Giorno 2: Volo interno Bali – Timor (Kupang),
Prendiamo un volo interno che ci porta all’aeroporto di Kupang (1h45m), sulla costa sud-ovest dell’isola di Timor. Pranziamo in città e dedichiamo il pomeriggio ai mercati: quello del pesce di Oeba (se ancora aperto) e quello generale di Oesao. Cena a base di pesce fresco al mercato notturno di Kampung Solor. Pernottamento in hotel.
Il commercio del pesce a Kupang si svolge in modo particolare. Pescatori e commercianti s’incontrano prima in mezzo al mare, al cosiddetto Mercato di Nunsui. Qui, dai loro sampan, i mercanti fanno le offerte per le catture quando sono ancora nelle barca dei pescatori. Conclusa la vendita, il pesce viene sbarcato al Mercato di Oesapa, situato sulla spiaggia vicina. Da qui, il pesce viene trasportato al Mercato di Oeba, il più grande mercato del pesce a Kupang.

Giorno 3: Trasferimento da Timor a Lembata: i villaggi del vulcano IleApe.
Ci svegliamo presto per prendere il volo interno Kupang - Lewoleba (40m). Sorvoliamo i due grandi vulcani Ile Ape e Ile Boleng che delimitano la stupenda baia di Lewoleba, capitale dell’isola di Lembata (l’antica Lomblen). Un pulmino ci accompagna all’hotel. Ripartiamo subito in minibus per una escursione ai villaggi attorno al vulcano Ile Ape (o Ile Lewotolo), ad est di Lewoleba. Visitiamo prima Lamariang, poi Lamawholo (dove saremo accolti da una breve cerimonia con danze e pranzo). Se c’è tempo, giriamo attorno al vulcano lungo una strada molto sconnessa e saliamo la ripida salita al villaggio di Lewohala, con decine di case tradizionali e una società regolata da un’agricoltura di sussistenza e antichi manufatti che rinnovano i legami con la terra e gli antenati. Bagno rinfrescante e snorkeling alla spiaggia bianca di Lamawholo. Cena e pernottamento in hotel a Lewoleba.
“A Lamariang, un anziano con una bella barba a punta, spiega com’è suddivisa una casa tradizionale. Su una piattaforma di bambù sopraelevata c’è uno spazio dedicato ai rituali del culto degli antenati. Altre piattaforme sono riservate al riposo dei famigliari e degli ospiti. In un angolo, a terra, sono piantate le tre pietre del focolare principale, sulle quali pende un contenitore di foglie intrecciate di forma curiosa e con tre aperture. A fianco un’alta piattaforma con alcune stoviglie di coccio. Al i sopra del sottotetto, vengono stoccati fagioli, riso e mais. Uno dei grossi pali verticali è intagliato a ricavare dei ganci su cono appesi mazzi di pesci ad essiccare...”


Giorno 4-5: “Baleo”: i balenieri di Lamalera.
Due intere giornate dedicate al villaggio di Lamalera, ai suoi balenieri ed ai suoi abitanti, con la speranza di seguirli in almeno una spedizione di caccia ai grandi mammiferi, al grido di “baleo, baleo”.
Con un pulmino dedicato ci spostiamo per due giorni di seguito dalla capitale Lewoleba al villaggio di Lamalera (25km, 6 ore andata e ritorno). Qui vivono le ultime comunità di balenieri. Avremo diverse ore per affiancare i pescatori e gli abitanti durante le loro attività quotidiane di caccia, ricovero di barche e attrezzi da pesca, tessitura o semplice gioco dei bimbi in riva al mare. Percorriamo le stradine che abbracciano la piccola baia e saliamo sui promontori per avere viste indimenticabili di questa comunità ancorata ad un’economia di sussistenza dalle radici secolari. Pranzi al semplice ristorantino annesso alla guesthouse Felmina, Cena e pernottamento in hotel a Lewoleba. (in alternativa è possibile pernottare a Lamalera in guesthouse molto semplici).
Lamalera è un villaggio arroccato sulle pendici rocciose del vulcano attivo Ile Labalekan, sulla costa meridionale dell'isola di Lembata. Un documento anonimo portoghese del 1624 descrive isolani con arpioni a caccia di balene per il loro olio (e probabilmente anche dell’ambra grigia). La relazione conferma che la caccia alle balene ha avuto luogo nelle acque del Mar di Sawu almeno due secoli prima della comparsa delle baleniere americane e inglesi agli inizi del XIX secolo.
Una missione cristiana si è stabilita nella comunità un centinaio di anni fa e ha dato vita a scuole e a una falegnameria. Si tratta di un villaggio di pescatori in una regione dove la maggior parte delle comunità vivono di agricoltura. Lamalera ha poca terra produttiva, così gli abitanti del villaggio vanno a pescare per sopravvivere. Le loro barche, chiamate peledang, mosse a remi e con una vela latina fatta di foglie di palma intrecciate, inseguono mante, balenottere e piccoli capodogli, in un susseguirsi di rincorse, attese, agguati ai grossi dorsi grigi dei cetacei, scatti dei rematori e balzi al cardiopalma dell’arpionatore. La comunità pratica ancora il baratto e si apre volentieri ai visitatori stranieri. La spiaggia del villaggio è punteggiata di parti di scheletri di balene e pezzi di carne appesi ad essiccare.
La loro preda preferita è il capodoglio (Physeter macrocephalus). La difficoltà di un rituale da seguire alla lettera e la scarsità progressiva delle prede fanno sì che la caccia dia risultati irregolari. Di più, la coda di una balena può distruggere le piccole barche di legno e metterne alcune temporaneamente fuori uso. Spesso i fiocinatori sono feriti o uccisi. Equipaggi interi si perdono in mari lontani, resi incauti dalla necessità di un inseguimento che può durare giorni in un mare infido.
La carne della balena (e di squali e mante) viene tagliata a strisce e essiccata al sole abbacinante in riva al mare. La carne viene poi portata a piccoli mercati dove viene barattata con generi alimentari ceduti dagli abitanti dei villaggi di montagna. Una striscia di pesce essiccato o di carne equivale a dodici pannocchie di mais o dodici banane, dodici patate dolci, dodici pezzi di canna da zucchero o dodici coppie di Sirih/Pinang. La caccia commerciale alle balene è vietata in gran parte del mondo, ma quella riconosciuta di sussistenza è consentita, dai regolamenti della Commissione Baleniera Internazionale (IWC), in Alaska, Stati Uniti, Unione Sovietica e Groenlandia. L’Indonesia non è, tuttavia, uno dei firmatari della IWC. Meno di una decina sono balene catturate dai pescatori di Lamalera in un anno.
...le case debordano sulla spiaggia sotto forma dei precari ricoveri di bambù e foglie di palma per le peledang, i lunghi barconi da pesca. Il sole cuoce i resti di scheletri di capodogli. Strisce di carne scura e grasso giallastro sono appese a seccare all’aria salsa. Uomini scuri in volto (niente baleo per l’intera settimana), stretti alle proprie barche, sparsi sotto i ricoveri, dormono, acconciano le reti, fumano. Poche parole fluttuano in quest’atmosfera arroventata e greve. Un vecchio si rigira sullo stretto ponte di prua, avvolto nel suo sonno inquieto. Frotte di bimbetti seminudi sfidano la calura giocando e ridendo sul bagnasciuga, incuranti e persi nel loro mondo acqueo e sabbioso...”


Giorno 6: In aereo da Lembata a Timor. Trasferimento a Soe.
Di primo mattino trasferimento in aeroporto e volo Lewoleba - Kupang (1h), sull'isola di Timor. Montiamo sul pulmino che ci aspetta in aeroporto e ci trasferiamo al villaggio di Soe (110km, 3 ore). Lungo la strada ci fermiamo al villaggio di Oebala, dove una famiglia di liutai costruisce e suona le arpe rotenesi, o Sasando. Relax, cena e pernottamento in hotel a Soe.
La componente principale del Sasando è un tubo di bambù che serve da telaio. Il tubo è circondato da vari pezzi di legno che servono come cunei su cui le corde sono tese, dall'alto verso il basso. La loro funzione è di tenere le corde più alte rispetto alla superficie del tubo e anche, variandone la lunghezza, di ottenere diverse notazioni musicali. Il tubo di bambù è circondato da una sorta di ventaglio fatto di foglie secche di palma Lontar di Palmyra (Borassus flabellifer), e ha la funzione di camera di risonanza. Il Sasando è suonato con entrambe le mani che pizzicano le corde tese sul tubo di bambù, attraverso l'apertura del “ventaglio” di Lontar sulla parte anteriore, in modo simile ad un’arpa. Il Sasando ha 28 o 56 corde.
L'isola di Timor è lunga circa 450 km e larga circa 100. A 2950 m il Monte Ramelau è il punto più alto. La maggioranza delle precipitazioni cade durante la stagione dei monsoni, da dicembre a marzo. Il terreno è generalmente povero e la vegetazione naturale scarsa. Vi sono, tuttavia, boschi di eucalipto, di sandalo, legno di rosa, bambù e tek. L'economia di Timor è dominata dall'agricoltura. La coltivazione avviene con metodi tradizionali ed i prodotti principali sono mais, riso, caffè, frutta e olio di copra (olio estratto dalla polpa di cocco essiccata). Gli abitanti della costa di Timor sono in gran parte di origine indonesiano-malese.


Giorno 7-9: i villaggi di Timor Ovest
Facendo base a Soe visitiamo i villaggi di etnia Biboki e Dawan. L’itinerario sarà fatto in funzione dei giorni di mercato, un’occasione unica per incontrare le genti dei clan dei villaggi di montagna, che scendono a vendere i pochi prodotti della loro agricoltura di sussistenza. Una giornata dedicata ai villaggi attorno a Soe: la vicina Niki Niki (mercato il mercoledì), Oinlasi (50km, 2 ore e il suo affollato mercato del martedì), Boti (2 ore, perso tra le strade sterrate e le colline brulle dell’entroterra Dawan, ancorato al culto tradizionale dal giovane raja), e Benteng Nome (un sorprendente piccolo gruppo di ume, fortificato e con tradizioni guerriere). Un’altra giornata dedicata alla etnia Biboki, ancora più a est oltre Kefamenanu (50km, 2 ore). Visitiamo lo splendido e isolato eremo di Temkesi (30km, 2 ore), semi-deserta sede del rajah, e Maubesi, dove, con case in muratura, convivono le antiche uma kebubu, a forma di igloo, e i tetti conici dei lopo. Diamo un’occhiata a qualche porta intagliata, statua di antenato e intricati tessuti al telaio. Se c’è il tempo facciamo una puntata verso sud, a Betun (80km, 2,5 ore). Qui nella terra dei Belu, si possono visitare i villaggi di Haitimuk (20km, ¾ ora), Besikama (30km, 1 ora) e Kamanasa (10km, ½ ora) che possiedono ancora diverse case tradizionali e molti telai. Pranzi in ristorantino, cene e pernottamenti in hotel a Soe. Il terzo giorno rientriamo verso Kupang, dove pernotteremo. Lungo la strada forse abbiamo tempo di visitare e documentare altri villaggi Dawan, Kapan (21km, mercato il giovedì), Tunua e il solitario Fatumnasi (41km) con alcune ume kebubu e alle cascate di Oahala (3km, 45'). Pranzo per strada. Pernottamento in hotel a Kupang.


Giorno 10: Volo Timor - Alor. Kalabahi, visita della città.
Saliamo sull’aereo che ci porta da Kupang a Kalabahi (40m), la capitale dell’isola di Alor. Il breve volo permette di avere una vista sullo stupendo arcipelago di Alor - Solor e, forse, catturare il lento incedere di un cetaceo di passaggio. Il minibus ci porta all’hotel in città. Pranzo in ristorantino. Pomeriggio dedicato alla visita dei villaggi dell’interno: Takpala (13km), e del piccolo ma interessante museo dei tamburi moko. Cena e pernottamento in hotel.
Con i suoi vulcani fumanti, che scendono fino alle acque cristalline ornate di barriere coralline incontaminate, spiagge di sabbia bianca punteggiate di cocchi e villaggi tradizionali costruiti su per le montagne, il paesaggio è tanto spettacolare sopra quanto lo è al di sotto del mare. L’isola di Alor è così montuosa che è quasi impossibile attraversarla e molti dei villaggi sono accessibili solo attraverso piccoli traghetti via mare. Gli otto diversi dialetti e i più di 50 sub-dialetti, ancor oggi parlati, testimoniano la biodiversità delle società umane di Alor.
Takpala è costituito da 15 case tradizionali che gli Abui chiamano rumah Lopo. Tredici di queste case, chiamate kolwat, non hanno muri. Le altre due, chiamate kanuarwat, sono tabù e solo alcune persone possono entrarvi. Il popolo Abui fa affidamento solo sulla foresta per soddisfare le proprie necessità quotidiane, come ad esempio la raccolta di cereali e semi, usati oggigiorno anche per creare manufatti da vendere ai turisti. Tra gli Abui e le altre popolazioni di montagna, infatti, la caccia e la raccolta rappresentano un importante complemento alla dieta base di mais, manioca, e riso. Nelle zone costiere, che sono meno favorevoli all'agricoltura, molti agricoltori sono passati alla pesca, l'attività tradizionale degli austronesiani. Animali da cortile sono maiali e polli. Tuttavia, questi possono di rado integrare la dieta a causa di frequenti malattie cui sono soggetti. Così, la dieta non è ben bilanciata, spesso con conseguenti precarie condizioni di salute e anemia, soprattutto tra i bambini e le donne.
I Moko sono tamburi di bronzo a forma di clessidra, utilizzati come strumenti musicali durante le cerimonie tradizionali e come dote ad Alor e Pantar. Alcuni dei moko sono molto antichi e, sulla base della loro forma e decorazioni, si presume provengano dalla cultura Dong-Son del Vietnam (400-100 AC). Sono stati trasportati ad Alor probabilmente come merce di scambio nel commercio del legno di sandalo, di cui la vicina Timor era ricchissima. I Moko più antichi sono chiamati in Indonesiano “tamburi di terra”, moko tanah, perché sono stati dissotterrati o rinvenuti in grotte. Molti moko, tuttavia, sembrano essere di origine più recente, probabilmente realizzati a Gresik, vicino a Surabaya (Java) nel 19° secolo. Da qui i mercanti macassaresi li hanno fatti arrivare fino ad Alor e Pantar, dove sono noti anche come moko Makassar o jawa Makassar. Molti Moko sono stati raccolti e distrutti dall'amministrazione olandese tra il 1920 e il 1930. Il governo coloniale ne contò circa 200.000 sulla sola Alor. Ci sono oltre venti diverse categorie di Moko, con valori che vanno da pochi centesimi a diverse migliaia di euro.
I Moko sono importanti come status simbol, ma molto di più per il loro valore rituale. Sono parte essenziale della dote della sposa e sono stati scambiati anche contro teschi umani, impiegati spesso nei rituali. In caso di matrimonio il numero necessario di moko, e la loro qualità, dipendono dalla posizione sociale della sposa. Non è insolito che per ripagare una tale dote si impieghino anni.

Giorno 11: Alor, la Testa d’Uccello, Bampalola, mercato Buirdon.
Lasciamo l’hotel presto per una visita al mercato di Buirdon. Poi partiamo per un’escursione che ci porta attorno alla penisola chiamata Kepala Burung (Testa d’Uccello). Troviamo splendidi panorami e una secolare mescolanza di tradizioni animistiche e Islam. Visitiamo, con un breve trekking facile, il villaggio di Bampalola (15km + 1 ora). Poi proseguiamo lungo la costa fermandoci a curiosare tra i piccoli villaggi di pescatori e le belle spiagge bianche di Maimol e Mali. Cena e pernottamento in hotel.
Bampalola, appollaiato su una bassa collina che gode di una vista stupenda sulle isole vicine, possiede case tradizionali particolari chiamate laka tuil. La storia tramandata vuole che qui sia arrivato l’islam, poi diffuso tra le isole, grazie ad una coppia di figure semi-mitiche “scese dal vulcano”.


Giorno 12-13: Escursioni in barca tra le isole di Pantar, Pura, Buaya e Ternate
di primo mattino ci spostiamo al villaggio di Alor Kecil, davanti al quale si trova l’isoletta di Kepa. Da qui facciamo escursioni giornaliere in barca alle isole dell’arcipelago. Visitiamo alcuni villaggi di pescatori che usano curiose trappole di bambù intrecciato, baie ornate di acque smeraldine e barriere coralline incontaminate, donne intente a tessere motivi marini in meravigliosi ikat, bambini curiosi e abili a tuffarsi tra le piroghe. Facciamo anche soste per un salto in acqua ed un’esplorazione tra coralli molli e pesci multicolori. Delfini e balene accompagneranno forse la nostra rotta e incroceremo pescatori intento alla pesca con l’aquilone. Pranzo al sacco in barca. Cena e pernottamento in guesthouse a Kepa.


Giorno 14: In aereo da Alor a Timor e da Timor a Bali.
Lasciamo Kepa molto presto per arrivare direttamente in aeroporto, in tempo per il volo interno Kalabahi- Kupang (40m), con coincidenza Kupang-Denpasar (1h50m).



ALOR
LEMBATA
TIMOR
    

Flores e Sumba

villaggi sperduti e varani di Komodo




    Due isole a est di Bali, Flores e Sumba, dove vivono antiche popolazioni raccolte in villaggi isolati. I Manggarai e gli Nggada di Flores, i Wanukaka e Kodi di Sumba sono custodi di tradizioni culturali millenarie, di religioni antiche, di saperi artigianali raffinati.
    Le architetture in legno e pietra sono tra le più originali dell’Indonesia e simboleggiano il fulcro della vita sociale della comunità.
    In alcuni periodi dell’anno sono celebrati antichi riti di comunione con la terra e di sacrificio collettivo, di grande significato sociale e di forte impatto emotivo, ponte tra il presente ed il mondo ancestrale.
    Sulla via del ritorno ci aspettano i Varani di Komodo e gli orizzonti sottomarini di incomparabile bellezza attorno alle isolette dell’arcipelago di Komodo e Rinca.



Giorno 1: Arrivo a Bali, pomeriggio di relax
Arrivo a Bali, serata libera.
Pernottamento in hotel a Legian.

Giorno 2: Volo interno Bali–Tambolaka (Sumba)
Di prima mattina prendiamo un volo interno che ci porta all’aeroporto di Tambolaka, sulla costa nord-ovest dell’isola di Sumba. A Sumba ci attendono auto, con autisti e la guida locale, che ci portano, dopo pranzo, a Pantai Kita, la bella spiaggia a pochi km da Tambolaka, che sarà la base dei primi giorni. Relax in spiaggia.
Pernottamento in guesthouse.
Questa isola arida e ondulata, ospita una delle società tribali più interessanti delle Nusa Tenggara Timur, che ruota intorno al culto dei marupu (termine generico per definire tutte le forze spirituali, divinità, spiriti e antenati). Sumba, dal punto di vista morfologico, appare molto diversa dalle isole vulcaniche situate più a nord, con un paesaggio caratterizzato dalla presenza di basse colline di pietra calcarea, risaie e campi di mais e cassava. Nelle regioni più impervie, il cavallo è ancora utilizzato come mezzo di trasporto: simbolo di ricchezza e di prestigio sociale, assieme al bufalo e al maiale, un tempo questo animale faceva parte della dote da offrire per prendere moglie. Oggi la maggior parte degli isolani è ufficialmente protestante, ma il culto marupu resiste e gli antichi conflitti sono ancora rievocati con cadenza annuale, con battaglie simulate tra coorti di cavalieri armati di lance spuntate. Queste battaglie fanno riferimento a radicate tensioni tribali che di tanto in tanto scoppiano tra clan rivali. Il bahasa indonesia è parlato ovunque, ma a Sumba ci sono sei lingue principali. Il turismo nell’isola è ancora limitato.

Giorno 3: La costa tra Mandorak e Weekuri. I villaggi e i panorami di Ratenggaro e Wainyapu.
Dopo colazione ci spostiamo nella regione di Kodi (1 ora, 30km), terra di Sumbanesi che vivono ancorati al Marapu, il credo sociale e religioso che ha radici animiste, e da pochi anni si offrono ai visitatori stranieri. Le loro Pasola, finte battaglie a cavallo, sono sempre intrise di autentico coraggio, spirito combattivo e istrionismo.
Visitiamo due luoghi panoramici sul mare, la spiaggia di Mandorak il laghetto marino di Weekuri (dove si può fare il bagno). Poi percorriamo la lunga regione costiera fino a Bondokodi, passando per i villaggi di Bukubani, Tossi e Pero, che ha un incantevole approdo di pesca. Pranzo in un ristorantino locale a Pero. Il pomeriggio è dedicato alla visita dei bellissimi villaggi a sud di Bondokodi, ciascuno con le case tradizionali dagli alti tetti, tipiche della casta nobile. Entriamo nel villaggio di Ratenggaro con le sue tombe reali in riva al mare. Gli abitanti ci seguono con curiosità mentre camminiamo tra le case, le uma bokulu, dagli alti tetti a minareto. Dalle tombe dei rato ammiriamo la foce del fiume. All’entrata del villaggio allestiscono un piccolo bazar di oggetti di artigianato e potremo acquistarne qualcuno. Riprendiamo le auto e passiamo il fiume per visitare Wainyapu e il suo grande campo della Pasola. Facciamo una passeggiata alla lunga spiaggia bianca attraverso le cave di pietre tombali, fino all’insenatura del fiume Lambatama da cui si gode una splendida vista degli alti tetti di Ratenggaro. Ci accolgono alcuni anziani, bambini curiosi, maiali e cavalli.
Al tramonto rientriamo alla guesthouse.
Pernottamento in guesthouse.

Giorno 4: Waikabubak il mercato. Praijing e Marosi.
Di primo mattino partiamo per il sud, per Lamboya dove arriveremo a tarda sera (3 ore ca.). Una prima sosta al mercato di Waitabula, tra colorati ikat e bestiame in vendita. Proseguiamo lungo un’ampia strada tra verdi colline e risaie(1 ora, 35 km) fino a Waikabubak, la capitale di Sumba Occidentale. Visitiamo il mercato e pranziamo. Dopo pranzo visitiamo il villaggio di Praijing, tranquillo e poco frequentato dai tour, per avere una prima idea della struttura sociale e abitativa dell’isola. Ci spostiamo ancora più a sud, a Lamboya (1h30m). Dopo aver lasciato i bagagli in hotel, facciamo un po’ di relax e bagni nella bellissima spiaggia di Marosi, che si può raggiungere anche a piedi (30min). Percorriamo la spiaggia, incontriamo cavalieri solitari, branchi di grossi bufali immersi in pozze d’acqua fangosa, contadini chini nelle risaie che arrivano quasi in riva al mare.
Pernottamento in hotel.
Di solito il villaggio tradizionale di Sumba è strutturato in due file parallele di case, poste le une di fronte alle altre, con una piazza nel mezzo. Al centro della piazza c’è una pietra sormontata da un’altra pietra piatta, sulla quale sono poste le offerte ai marupu protettori del villaggio. Queste strutture di pietra per gli spiriti o katoda sono usate per le offerte ai marupu dell’agricoltura durante la semina o il raccolto. La piazza del villaggio contiene anche le tombe degli antenati importanti, in genere finemente scolpite. Nei tempi passati, le teste dei nemici uccisi venivano appese a un palo irto di spine situato nella piazza del villaggio. Quest’albero dei teschi, chiamato andung è ancora presente in alcuni villaggi ed è un motivo riprodotto frequentemente sugli ikat, i tessuti tipici di Sumba. L’abitazione caratteristica è una grande struttura rettangolare su palafitte e accoglie una famiglia allargata. Il tetto di paglia sale dolcemente dai quattro lati e termina con una punta. Tra i rituali che accompagnano la costruzione di una casa, c’è quello di tributare un’offerta quando si pianta il primo palo, per scoprire se i marupu ne approvano l’ubicazione e uno dei metodi consiste nel sacrificare una gallina ed esaminarne il fegato. Molte case sono ornate con corna di bufalo o mandibole di maiale, ricordo delle offerte sacrificali fatte in passato.

Giorno 5: I villaggi e i panorami di Wanokaka
Dopo colazione, verso le 7.30, saliamo a piedi al villaggio forse più interessante della zona, Sodan (40’, 15 km). L'ascesa dura poco più di mezz'ora ed è a tratti ripida ma, una volta in cima alla collina, troveremo un mondo antico, tra le case su alte palafitte, abitanti schivi, lo sguardo severo del rato uma che ci accoglie al villaggio, i luoghi tabù legati a culti millenari. Proseguiamo in auto fino ai due villaggi della regione di Wanokaka, Waigali e Praigoli (40’, 20 km). Le tombe megalitiche sono abbellite da interessanti figure simboliche e si può vedere anche ciò che rimane di un andung, il palo dei teschi. Rientriamo in hotel per pranzo. Nel pomeriggio si possono visitare i vicini villaggi di Tokahale e Malisu (Nalisu).
Pernottamento in hotel.
E’ usanza comune, quando si visitano i villaggi di portare dei doni con sé, come la noce di betel, simbolo di pace. Si tratta di uno stimolante mediamente eccitante che purtroppo ha però degli effetti negativi poiché è una sostanza cancerogena e inoltre dona alla bocca e ai denti uno sgradevole colore rossastro. Masticare betel è un modo per affermare la propria appartenenza al mondo degli adulti e i tre elementi che formano il miscuglio hanno un significato simbolico. Il gambo verde del sirih rappresenta il pene, la noce o pinang le ovaie femminili, la calce (kapor) lo sperma. E’ la calce a produrre la colorazione rossastra.
Dopo la morte, il defunto raggiunge il mondo invisibile, da cui può influenzare il mondo dei vivi. Marapumameti è il nome collettivo che indica tutti i morti. I vivi possono invocare il loro spirito, in particolar modo quello dei parenti, per ricevere aiuto, anche se i morti possono nuocere nel caso si irritino. Nel giorno fissato per la sepoltura, si uccidono cavalli o bufali e insieme al defunto vengono sepolti ornamenti e una borsa di sirih (noce di betel). I vivi devono assicurare al defunto la sepoltura più sfarzosa possibile, in modo da evitare l’irritazione dei morti e per consentire loro l’ingresso al mondo invisibile. Il funerale vero e proprio a volte è rimandato anche di dieci anni, per consentire ai parenti di accumulare denaro sufficiente per i festeggiamenti e per la costruzione di una grande tomba in pietra.
Anche l’abbigliamento tradizionale è ancora utilizzato. Le donne più anziane spesso vestono solo l’ikat, o lawo, e sono a seno nudo. Anche gli uomini indossano l’ikat, chiamato hanggi, avvolto attorno ai fianchi, spesso sopra abiti di foggia occidentale. Alcuni di loro indossano anche una stoffa attorno alla testa, o kapota. Quasi tutti gli uomini, portano un lungo coltello che sfortunatamente, a volte è usato. La violenza è parte della tradizione Sumbanese e questo è il motivo per il quale è stata ritualizzata nei festival come il Pasola. Ogni anno, la stagione del Pasola inizia quando gli sciamani dei villaggi lungo la costa, riscontrano che un certo verme di mare (nyale) è arrivato. Sono quindi organizzati dei violenti scontri tra squadre di cavalieri che brandiscono spade e lance ed è sicuramente una delle più stravaganti e cruente feste dell’Asia. Si svolge tra febbraio e marzo ed ha lo scopo principale di spargere sangue umano per omaggiare gli spiriti e assicurare un buon raccolto. Come nel passato, gli ‘eserciti’ sono formati dagli abitanti dei vari villaggi costieri.


Giorno 6: Waikabubak e Tambolaka, volo per Kupang.
Al mattino ci rimettiamo in cammino verso nord e l’aeroporto. Passiamo per Waikabubak (1h, 25km), la capitale della regione, e ci fermiamo a visitare i villaggi di Tarung e Waitabar , proprio in cima alla bassa collina sopra il mercato. A Tambolaka ci imbarchiamo per il volo verso Kupang ((1h10min). Pernottamento in hotel (vicino all’aeroporto).


Giorno 7: Volo da Kupang a Maumere (Flores): tra i villaggi Lio. Partiamo molto presto al mattino (5:00) per salire sul primo volo (6:00) che ci porta con un balzo a Maumere, sull’isola di Flores. Visitiamo il villaggio Bajo di Wuring e il grande mercato di Alok, dove trovare i bei tessuti Sikka. l minibus ci porta lungo la strada interna (3-4 ore, 90 km), tra le belle risaie di Flores, fino alle terre dei Lio, l’etnia principale di questa parte dell’isola. Ci fermiamo a pranzo alla bella spiaggia di Paga, dove c’è tempo per fare un bagno. Saliti sull’altipiano e in relazione al tempo a disposizione, ci fermiamo a visitare alcuni villaggi, ciascuno con una antica casa Sa’o Ria e storie affascinanti raccontate dagli anziani. Prima Wolowaru, poi Jupe e Wolobete, fino ad arrivare a Moni, dove pernottiamo. Si può assistere ad una serata di danze tradizionali a cura della cooperativa Ana Kalo Group. Pernottamento in hotel.
Flores è un’isola montuosa con una morfologia vulcanica che per lungo tempo ne ha plasmato il destino. Una catena di vulcani la attraversa, creando un complesso sistema di valli a forma di “V” e creste che ha reso il territorio impenetrabile fino a qualche anno fa e questo è il motivo per il quale si sono sviluppati vari gruppi etnici, molto diversi tra di loro. Anche se oggi la religione cattolica è predominante, le tradizioni indigene sono ancora molto forti. Flores deve il suo nome ai portoghesi che chiamarono il promontorio più orientale dell’isola Cabo de Flores (Capo dei Fiori). Molto prima dell’arrivo degli europei nel XVI secolo, gran parte della costa era in mano ai macassaresi e ai bugis della parte meridionale di Sulawesi. Le razzie compiute sulle coste dai bugi e dai macassaresi per procurarsi schiavi rappresentavano un problema diffuso a Flores e costrinsero la popolazione a rifugiarsi all’interno. I portoghesi vi arrivarono nel 1500, attratti dal redditizio commercio del sandalo e diffusero il cristianesimo. Nel XVII secolo gli olandesi cacciarono i portoghesi da quasi tutta Flores, ma dovettero far fronte, negli anni di dominio, a una serie ininterrotta di rivolte e guerre tra le varie tribù. Gli abitanti dell’isola sono suddivisi in sei grandi gruppi linguistici e culturali: i manggarai (ad ovest), gli ngada (zona di Bajawa), I nagekeo (al centro), gli ende e i lio (zona di Ende), i sikkanesi (zona di Maumere) e i lamaholot (zona di Larantuka). I rituali animisti svolgono ancora un ruolo importante in occasione di nascite, matrimoni e funerali e segnano i periodi cruciali del ciclo agricolo.

Giorno 8: L’ascesa al Kelimutu e i villaggi Lio
Prima dell’alba (4:00), partenza in minibus per il vulcano Kelimutu per assistere al sorgere del sole. Aspettiamo lo spettacolo mozzafiato del sole che sorge dal mare di nubi, accompagnato dal canto di centinaia di uccelli. In lontananza il profilo del mare. La camminata a piedi è facile, alcune centinaia di metri lungo un sentiero per gran parte lastricato e una breve scalinata (circa 1 ora). Il Kelimutu è considerato sacro dagli abitanti locali e ospita tre laghi di diversi colori. In base alla leggenda, questi specchi d’acqua accolgono le anime dei morti: quelle dei giovani si recano nel tepore del Tiwu Nuwa Muri Koo Fai, quelle degli anziani nelle fredde acque del Tiwi Ata Mbupu e quelle delle persone malvagie nel Tiwi Ata Polo (lago incantato) che dividono lo stesso cratere, separati da una stretta parete. I colori delle acque variano periodicamente. Delle fumarole sommerse sono probabilmente la causa di queste variazioni, infatti, i gas che queste immettono nell’acqua, ne variano la composizione minerale. Dopo il cratere, scendiamo a valle e al resort per una tardiva colazione. Ripartiamo per Koanara, dopo si trovano due Sa’o Ria ben conservate. Proseguiamo verso Ende (2 ore, 50 km), e saliamo ad uno dei più dei villaggi Lio, Saga. Chiediamo il permesso di visitare la Sa’o Ria e la Sa’o Kenda (riservata ai maschi) e ci facciamo raccontare le antiche leggende legate ai clan del villaggio. Pranzo in ristorantino a Ende.
Dopo pranzo check-in in hotel e proseguiamo la costa fino al vicino villaggio di Wolotopo, annidato sulla costa come un paese delle cinqueterre e popolato da abili tessitrici di ikat. Wolotopo ha una grande Sa’o Ria, abitata da sei famiglie e abbellita da splendidi intagli in legno. Rientriamo passando per il vicino villaggio di Ndona, dove una cooperativa di donne sta facendo rinascere l’antica arte della tessitura ikat, utilizzando colori naturali e antichi motivi ornamentali. Pernottamento in hotel.

Giorno 9: Visita ai villaggi attorno a Ende e, via terra, a Bajawa; sosta a Wogolama.
Riprendiamo il minibus di prima mattina e ci spostiamo verso ovest per un trasferimento di 6 ore e 125 km, oltre le colline fino all’altopiano di Bajawa, nelle terre della etnia Ngada. Lungo la strada facciamo una sosta alla suggestiva spiaggia di ciottoli blu di Penggajawa a Nanga Penda, poi visitiamo il piccolo villaggio Boawae Pu’u, di etnia Nagekeo. Qui ci facciamo aprire la Sa'o Waja, abbellita da enormi palchi di bufalo d’acqua, dove sono custoditi alcuni simboli del culto ancestrale. Li vicino si trova un antichissimo peo, o totem. Sopra di noi sta vigile l’alto cono del vulcano Ebolobo. Pranzo in ristorantino a Boawae. Saliamo sull’altipiano e, al tramonto, arriviamo a Wogolama, la Stonehenge di Flores, un sito megalitico immerso in un’atmosfera di meravigliosa pace e intimità, avvolto da una foresta di bambù. Dopo il tramonto arriviamo a Bajawa.
Pernottamento in hotel.
I Nagekeo, una delle etnie meno conosciute dell’Indonesia, hanno lingua, usi e costumi molto simili agli Ngada. Il totem principale, chiamato peo, è molto simile al palo di uno ngadhu: intagliato con motivi geometrici e figure di animali, il palo con due rami superiori come due braccia protese verso il cielo, ricorda al popolo l’immanente presenza del loro unico dio. All’interno della “Casa Vecchia” si trovano due oggetti legati al combattimento rituale, etu, sorta di pugilato con l’ausilio di un corto bastone che sta nel pugno. Appesa al muro posteriore c’è un largo pettorale formato da conchiglie di cipree, indossato dal mosalaki durante le cerimonie. Sotto una tettoia, o heda, poco distante c’è una misteriosa statua lignea equestre,
chiamata Ja Heda, che per i residenti di Boawae simboleggia il potere. Qui sono conservati altri oggetti sacri. Il cavaliere, secondo un leggenda, è un orang pendek, per alcuni un membro della popolazione pigmea di Homo floresiensis.

Giorno 10: I villaggi Ngada: Bena, Tololela e Gurusina; bagno termale.
In minibus visitiamo il villaggio tradizionale di Bena (20 km, 45’), annidato tra le strette vallate alle pendici del vulcano Inerie, con le case dalle ampie verande tripartite, le facciate con le intricate e fantasiose decorazioni a ghirigoro che richiamano direttamente i rituali animisti della società Ngada. Da Bena saliamo sulle pendici del vulcano per un breve trekking (2 ore, facile) al piccolo villaggio di Tololela, dove gli nggadhu sono ancora intrisi del sangue degli ultimi sacrifici. Dopo aver gustato l'ottimo caffè di montagna e comprato un mazzetto di baccelli di vaniglia, scendiamo a piedi fino al villaggio di Gurusina, le cui case sono superbamente intagliate con i motivi ornamentali legati al culto degli antenati. Pomeriggio a ristorarsi tra le cascatelle del torrente termale Malanage. Rientro a Bajawa (1 ora e mezza, 30 km) e serata libera. Pernottamento in hotel.
Le comunità Ngada sono caratterizzate da una forma peculiare di architettura tradizionale che è sopravvissuta, nonostante le forze globalizzanti del ventunesimo secolo. Il numero di case (sa'o) e i simulacri dedicati agli antenati maschili e femminili (ngadhu e Bhaga) in un dato villaggio è determinato dal numero di clan o famiglie (woe) che lì vive, e deve rimanere costante nel tempo. Gli ngadhu sono strutture verticali a forma di ombrello, coperte di paglia. I bhaga sono piccole strutture a forma di casa. L'architettura riflette le credenze tradizionali, con elementi, decorazioni e sculture di bufali, galline, cavalli, esseri umani, armi e altref orme geometriche, ognuna con uno scopo specifico di proteggere gli abitanti e garantire un sostenibile armonia con l'ambiente, gli spiriti ancestrali e le forze naturali. Santuari e tombe ancestrali sono parte integrante della vita del villaggio e spesso tra essi si vedono i bambini giocare.
Gli abitanti della casa Ngada sono protetti, fisicamente e spiritualmente, dalla pioggia e dal vento, dal tetto piramidale multistrato ricoperto di alang alang (paglia) e ulteriormente protetto da influenze malevole da una figura maschile scolpita sul posta sul colmo e armata di lancia.
L'altezza del gradino all'ingresso della casa indica lo stato della famiglia. Il paliwa’i, o gradino più basso, evita problemi di intrusione: una persona malvagia che tenti di entrare sarà fatta inciampare dalla sua stessa karmapala. La tranquillità degli abitanti è ulteriormente garantita dall'immagine di un Sawa,una creatura fantastica scolpita e dipinta sulla facciata d'ingresso. Questa chimera ha le zampe di un pollo, la coda e il corpo di un cavallo, il collo di un serpente, la testa di una tartaruga e la bocca di un elefante con tre zanne. Nella mitologia locale, questa creatura dorme ai piedi della dea indù Durga e si manifesta solo alla nascita e alla morte.
Un cranio di bufalo montato sulla casa facciata ricorda un antenato defunto. Un bufalo è sacrificato per assicurare un passaggio sicuro verso il regno dei morti e il cranio alla porta è un richiamo alla inevitabilità della morte per tutti gli esseri viventi.
Gli Ngada hanno dimostrato un forte desiderio di proteggere e preservare il loro patrimonio architettonico. Questi piccoli borghi rurali sono isolati e collegati solo dalla stretta e tortuosa strada che porta a Bajawa, il centro amministrativo del distretto Ngada. Le gole montane e le foreste pluviali che separano Flores centrale dalla costa hanno in qualche modo protetto questi insediamenti tradizionali, ma anche limitato le opportunità per le generazioni più giovani, che sono sempre alla ricerca di fare carriera altrove. Questi villaggi Ngada sono quindi emblematici delle grandi sfide della conservazione del patrimonio tradizionale in un mondo globalizzato, come il trasferimento di conoscenze tra generazioni nel momento in cui le competenze e le risorse tradizionali diventano più scarse.


Giorno 11: Trasferimento in auto fino a Ruteng
Giornata di trasferimento lungo la Trans-Flores fino alla cittadina di Ruteng, etnia Manggarai. Le lunghe ore di minibus (6 ore, 130 km) saranno intervallate da alcune soste per ammirare i panorami idilliaci di questa isola incantevole. Scendiamo prima in riva al mare ad Aimere, dove scopriremo come si distilla la linfa della palma lontar. Poi tra risaie, verdi colline, boschi di bambù e colorati mercati di villaggio. Ci fermiamo al laghetto Ranamese. Pranzo in ristorantino a Ruteng. Dopo pranzo visita del vicino antico insediamento Manggarai, Ruteng Pu’u e alla grotta di Loh Liang, dove sono stati rinvenuti i resti dell’Homo floresiensis. Pernottamento in guesthouse.


Giorno 12: In minibus da Ruteng a Denge e a piedi a Wae Rebo
Al mattino partenza in minibus per Denge (4 ore) da dove inizia il trekking di 3-4 ore (facile) per raggiungere il bellissimo villaggio di Wae Rebo, isolato tra i monti di Flores, raggiungibile solo a piedi. Al villaggio ci verrà assegnata una capanna, costruita appositamente per i visitatori che raggiungono il villaggio. Si dorme in giacigli imbottiti di foglie. L’esperienza di vita in un villaggio indonesiano dove si vive ancora con i ritmi e le usanze tradizionali, vale la pena di qualche sacrificio.
Il villaggio di Wae Rebo sorge isolato in un bello scenario di montagna. Si tratta di un antico villaggio delle etnia Manggarai, formato dalle Mbaru Niang, case tonde dal tetto conico e dall’architettura unica. La Casa delle Cerimonie, di grandezza differente rispetto alle altre, ospita tamburi, gongs e cimeli. È l’abitazione di 8 famiglie, discendenti da un antenato comune, vi si svolgono riti e cerimonie. La struttura simbolizza l’unità del clan. I tamburi sacri sono considerati il mezzo per comunicare con gli antenati. Per poche ore osserviamo lo stile di vita tradizionale degli abitanti, dediti al lavoro nei campi, alla raccolta del caffè, di cui sono ottimi produttori, alla tessitura al telaio degli ikat tradizionali. La camminata per raggiungere il villaggio si dipana lungo uno stretto sentiero tra la folta vegetazione della foresta di montagna, e il canto di migliaia di uccelli tropicali.

Giorno 12: Discesa da Wae Rebo e in minibus fino a Labuan Bajo
Al mattino si rientra a piedi a Denge e in minibus si prosegue lungo la trans-Flores fino a Labuanbajo, porto sulla costa occidentale (6 ore, 130 km). Lungo il cammino soste per fotografare paesaggi, risaie, villaggi e la gente del posto al lavoro nei campi. Sulle colline di Cancar, per ammirare le particolari geometrie delle risaie lingko. A sera arriviamo al porto di Labuan Bajo. Serata libera con possibilità di cena di pesce sul lungomare. Pernottamento in hotel.

Giorno 13-15: In barca tra le isolette dell’arcipelago di Komodo
Di prima mattina saliamo a bordo della barca che ci accompagna in giroper le isole, uno dei luoghi più affascinanti dell’Indonesia. In questa tre giorni di mare faremo lunghi bagni, snorkeling nelle acque cristalline e ricche di vita lussureggiante. Non può mancare un’escursione lungo i sentieri aridi di Rinca, alla ricerca del varano gigante, scortati dai ranger del Parco. Rinca ospita una nutrita colonia di varani di Komodo, circa 1500 esemplari, oltre a cervi, bufali d’acqua, cavalli selvatici,scimmie, uccelli megapodi, rapaci e molti rettili.
Passeremo dai coralli di Wainilu alla spiaggia rosa di Pantai Merah e alle mangrovie di Tatawa besar. Cercheremo le mante giganti a Karang Makassar e le tartarughe a Batu Bolong.
Il Parco Nazionale di Komodo, dal 1977 “Riserva della biosfera” e dal 1991 “Patrimonio dell’Umanità”, è un santuario marino unico, creato dalle forti correnti che trasportano acque ricche di nutrienti in grado di supportare un incredibile ventaglio di vita marina. Il parco è composto da Komodo e Rinca, le due isole principali e molte altre minori, ottanta in totale, ed è situato tra le grandi isole di Sumbawa e Flores, proprio al centro di un passaggio obbligato per le correnti e le maree che uniscono gli oceani Pacifico e Indiano. Foreste di mangrovie, fondali erbosi e magnifici banchi corallini sono i principali habitat. Komodo offre immersioni di livello mondiale con una stupefacente varietà di siti, pinnacoli, pareti, grotte, giardini di corallo e tranquille baie. Nel Parco di Komodo sono state registrate oltre mille specie di coralli, settanta di spugne,con un numero particolarmente alto di tubipora musica (corallo a canna d’organo), artefice delle bellissime spiagge di sabbia rosa distribuite in tutto il parco. Tartarughe e mammiferi marini frequentano le sue acque e ci sono saltuari avvistamenti di balene. Le isole del parco abbondano di animali selvatici, come bufali, cinghiali, lucertole volanti, uccelli tropicali oltre, naturalmente, ai famosi varani.
Tre pranzi, due cene e pernottamento in barca (cabine spartane con cuccetta doppia, AC e bagno esterno). Il pomeriggio del 15° giorno faremo l’ultimo bagno tra i magnifici coralli di Sebayur. Dopo il tramonto sbarchiamo al porto di LabuanBajo.
Pernottamento in hotel.

Giorno 16: Volo interno Flores-Bali .
Di primissimo mattino ci rechiamo all’aeroporto e, con un volo interno di poco più di un’ora, rientriamo a Bali.